venerdì 9 ottobre 2009

"VALORE VAGINALE" DI TOMASO BINGA/BIANCA MENNA

TOMASO BINGA E L’INVENZIONE DELLA SCRITTURA.
“VALORE VAGINALE” DI TOMASO BINGA, EDIZIONI TRACCE, PESCARA, 2009,
prefazione di Gillo Dorfles.

Tomaso Binga/Bianca Menna si pone (ci si pone) come "problema" fin dal suo doppio nome, che prelude a una doppia identità: maschile e femminile; nella sua sfrenata voglia di provocazione va ancora oltre: il nome che ha scelto per identificarsi ed essere identificata, ossia “Tomaso”, è proprio scritto con una sola “emme”, così molti dei suoi lettori pensano che sia sbagliato, come molti di coloro che la incontrano di persona pensano di essersi sbagliati, di aver capito male: credevano di incontrare un uomo e invece si trovano davanti un donna, femminilissima, apparentemente dolcissima, ma assolutamente ferma nei suoi propositi d’arte, scardinare il vieto bello e facile e comodo del linguaggio, la NOIA terrificante dei temi e delle rime consuete, l’andamento lento dei versi tradizionali, delle parole dette e ridette, trite, fritte e rifritte.
Lei ha la capacità quasi unica e magica di manipolarle, ripeterle cento volte, come per convincersi e convincerci della loro validità e verità, rovesciarle come fossero guanti o cappotti vecchi e riproporle nuove nuove come nel primo giorno della creazione. Con amore e furore quasi frenetici la Poeta muove i suoi passi nella cristalliera scintillante e delicatissima della fonè, il suono e i suoi echi, come un elefante energico e turbolento che, scuotendo la sua penna, fa andare in mille pezzi sostantivi e aggettivi, esplodere i verbi, incrinare gli avverbi, liquefare le congiunzioni…
Il suo nuovo volume di poesia, tra i tanti che ha pubblicato, è come la summa ideale e concreta della sua opera e il manifesto della sua ideologia: la meditazione sul potere magnifico e inquietante della parola. Le sue filastrocche apparentemente infantili, apparentemente semplici, quasi giochi linguistici di bambini, con la forza devastante e ironica della reiterazione e della interiezione quasi spasmodiche, sono in realtà lapidarie come articoli di legge, che ci costringono a riflettere sulla grandezza funerea del linguaggio, duplice e plurimo, che si nasconde e si svela nel momento stesso del suo farsi e Binga ci fa vedere proprio la fase della nascita del “nome”, l’origine del mondo, che comincia a esistere nell’istante in cui è narrato.

(Francesca Farina)

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